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  • Immagine del redattoreClaudia Faedo

Disturbi Specifici dell’Apprendimento: cosa sono e cosa non sono

Parlare di Disturbi Specifici dell’Apprendimento non è semplice. Si tratta di un argomento ancora troppo poco trattato e spesso frainteso.

Un primo chiarimento è necessario: un Disturbo Specifico dell’Apprendimento non equivale a una disabilità e non comporta un deficit cognitivo. Anzi, è particolarmente interessante notare che uno dei criteri per poter fare una Diagnosi di DSA sia proprio la presenza di un funzionamento intellettivo generale non compromesso.

Significa che le persone con una diagnosi di DSA hanno un’intelligenza generale nella norma, o addirittura superiore.

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento sono disturbi di origine neurobiologica, che causano una compromissione delle abilità scolastiche: lettura, scrittura e calcolo.

Non si tratta di una malattia, ma semplicemente di una differente modalità di funzionamento delle reti neurali.

Gli esperti affermano che i DSA sono caratterizzati dalla loro “specificità”, perché il disturbo riguarda una particolare capacità (o un insieme di capacità), tutte legate all’ambito scolastico. Infatti, l’Istituto Superiore di Sanità li ha definiti “Disturbi che coinvolgono uno specifico dominio di abilità (…). Essi, infatti, interessano le competenze strumentali degli apprendimenti scolastici.” (Consensus Conference, 2011).


I Disturbi si possono suddividere in Dislessia, Disortografia, Disgrafia, Discalculia e Disturbo misto delle abilità scolastiche, a seconda della difficoltà specifica della persona e riguardano circa il 3-4% degli alunni in Italia.

Spesso ci si chiede come mai negli ultimi anni ci sia stata una tale diffusione delle diagnosi DSA (così come per le diagnosi di ADHD o di disturbo dello spettro autistico): un fenomeno che tuttora è troppo poco conosciuto, sembra essersi diffuso a macchia d’olio, mentre una volta era quasi totalmente assente.

La risposta si può trovare probabilmente nel fatto che ora sappiamo che cosa stiamo cercando. È, probabile che in passato gli studenti DSA venissero semplicemente bocciati o additati come poco dediti allo studio e, perciò, ritirati dalle scuole al termine degli anni obbligatori.

Al giorno d’oggi, invece, c’è una maggiore preparazione e conoscenza del disturbo, sia da parte dei professionisti sanitari, che riescono più facilmente a strutturare una diagnosi, sia da parte degli insegnanti, che permettono di fare adeguate segnalazioni in base alle necessità dei bambini, sia da parte dei genitori stessi, che giocano un ruolo fondamentale nel modo in cui verrà affrontata la diagnosi.

Comprendere le loro difficoltà è un passo fondamentale per trovare delle strategie compensative efficaci.

Quello che risulta deficitario nei DSA è il processo di automatizzazione: le diverse e difficili attività cerebrali, che devono essere messe in atto per poter leggere, scrivere o fare delle operazioni, non vengono immagazzinate nei processi automatici della memoria.

Per rendere più chiaro il discorso, è sufficiente pensare a quando si cerca di imparare una nuova attività (suonare uno strumento, guidare la macchina oppure, per l'appunto, leggere): inizialmente si fa una gran fatica nel compiere ogni gesto e nell’imparare ogni procedimento necessario, ma, ripetendo le azioni varie volte, tendono a diventare automatiche. Ecco, nelle persone DSA, ciò che manca è l’automatizzazione.

Quindi, lo sforzo che una persona con DSA deve compiere per portare a termine il compito è estremamente maggiore. Questo non comporta una totale incapacità nell’eseguire queste funzioni, ma una marcata lentezza e una scarsa accuratezza nello svolgerli.

È necessario sottolineare che, nonostante la difficoltà nella lettura, scrittura e/o calcolo, le persone DSA hanno numerose risorse di apprendimento. Sono predisposti ad imparare attraverso le esperienze e le azioni pratiche, piuttosto che con la teoria: prediligono di gran lunga le immagini a un testo scritto.

Molte persone con DSA sviluppano delle strategie di ragionamento o di comprensione originali, utilizzando quello che viene chiamato pensiero divergente, o pensiero creativo. Il loro è un modo di ragionare più globale, meno sequenziale, che porta a idee originali.

Il lavoro con bambini e ragazzi DSA dovrebbe essere svolto su più fronti.

Questi ragazzi, secondo diversi studi, tendono spesso a sviluppare disturbi d’ansia, stati depressivi, dolori psicosomatici e scarsa autostima. È comprensibile, mettendosi nei loro panni, che non siano felici di andare a scuola o che temano di essere presi in giro o trattati ingiustamente. Gli anni dello sviluppo sono già abbastanza duri anche senza l’incombenza di una diagnosi.

È necessario, quindi, agire sulla loro conoscenza e consapevolezza del disturbo, riconoscendo le loro difficoltà e favorendo invece le loro risorse e gli strumenti compensativi a disposizione. Un lavoro di conoscenza di sé e di accettazione può aiutarli a non sentirsi diversi dai loro coetanei o a non viversi come se fossero etichettati da una diagnosi.

Inoltre, è importante seguire il loro lavoro dal punto di vista accademico. I ragazzi con DSA non supportati, secondo un rapporto del MIUR, infatti, rappresentano una delle principali cause di dispersione scolastica.

A tal proposito, oltre alla ricerca della strategia di apprendimento più efficace, è importante anche lavorare sulle capacità metacognitive. Ovvero, sulle capacità della persona di riuscire a riflettere riguardo alle proprie modalità di pensiero e alle strategie di apprendimento. Si tratta fondamentalmente di riflettere sui propri metodi di apprendimento, per verificare se sono efficaci. È importante anche lavorare sulla gestione del tempo a disposizione e sull’organizzazione, che spesso mettono in difficoltà la persona DSA.

Di fatto, tralasciando gli aspetti clinici, è giusto tenere a mente che lo sviluppo delle persone con DSA e l’evoluzione del disturbo stesso dipendono molto dal sostegno didattico, psicologico e pedagogico che ricevono già da primi anni di scuola primaria.




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